1914: l’anno che ha cambiato il mondo
5 giugno – 11 luglio 2014

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25 anni di festival
1 luglio 1990, sono da poco passate le nove di sera quando Riccardo Muti alza la bacchetta sul podio dell’Orchestra Filarmonica della Scala e del Coro della Radio Svedese e tra le antiche mura veneziane della Rocca Brancaleone risuona il primo movimento: Adagio – Allegro spiritoso della Sinfonia n. 36 in Do maggiore K 425 di Wolfgang Amadeus Mozart, meglio conosciuta come Sinfonia Linzer.

Inizia così adagio ma con un inarrestabile crescendo Ravenna Festival che con la prossima edizione 2014 compirà un quarto di secolo di vita. È questo un traguardo importante sia per la manifestazione che per la città di cui il festival è espressione ed emanazione significativa e consolidata. Città che sta vivendo un momento molto importante con la sua candidatura a Capitale europea della cultura 2019. Il primo turno è stato superato ed ora Ravenna è in pole position tra le sei città finaliste (su 21 città iniziali). Un risultato al quale il festival sicuramente ha contribuito, assieme alla città tutta ed alle sue molteplici e spesso insospettabili energie, con i suoi cinque lustri di attività nel corso dei quali l’antica capitale dell’Impero bizantino d’Occidente è diventata moderna capitale della musica, della danza, del teatro. Dai teatri “storici”, dalla Rocca e dal grande Pala Mauro De André appena inaugurato, il festival ha poi progressivamente invaso la città entrando nelle basiliche e valorizzando gli altri luoghi di alto interesse artistico quando non addirittura scoprendo nuovi sorprendenti spazi spesso poi restituiti alla comunità in un utilizzo continuativo (è il caso, solo per fare pochi esempi, del Magazzino dello Zolfo, di San Nicolò o del vecchio Tiro a segno in Darsena di Città). Il festival si è poi esteso anche nel corso dell’anno, fuoriuscendo dai confini estivi in cui era tradizionalmente collocato, per approdare ai mesi autunnali, nella felice invenzione della “Trilogia d’autunno”, una formula che è stata subito accolta con molto favore e fervore sia dai ravennati che da un pubblico assai numeroso proveniente da diversi paesi europei (e non solo), incrementando così i flussi turistici in una rinnovata dimensione di Città d’Arte a “360 gradi e 365 giorni”. E poi i tanti temi affrontati, attraversati, sviscerati: da quelli più seriosamente musicologici dei primissimi anni (“Intorno a Rossini”, “Bellini e Wagner”, ecc.) a quelli più visionari che proiettavano Ravenna – sempre oggetto e soggetto al tempo stesso – in nuovi paesaggi dell’anima, tra mediterranei, orienti, apocalissi, visioni, deserti, pellegrinaggi. Fino ad arrivare al prossimo tema, tutto giocato sulla Memoria di un anno fatale, carico dei suoi terribili, enormi eventi: il 1914, l’anno che ha cambiato il mondo.

Il tema
Pochi eventi, nella storia del mondo moderno, hanno avuto un impatto profondo come quello della Grande Guerra sulla cultura europea e, al contempo, rare sono le grandi svolte epocali altrettanto impreviste, devastanti, traumatizzanti. Fra il 1914 e il 1918 la Grande Guerra produsse mutamenti di vastissima portata sul piano politico, economico, sociale, culturale, come pure, e inevitabilmente, sul piano intimo e profondo delle coscienze individuali. Nel corso di quegli anni il flusso della vita e della storia si interruppe almeno per un momento e lì, in quell’arresto cardiaco della storia europea, si poterono cogliere simultaneamente l’agonia del vecchio mondo (la Finis Austriæ ma non solo, Gli ultimi giorni dell’umanità di Karl Kraus…) e l’irrompere del nuovo: l’una non ancora compiuta, l’altro non ancora pienamente dispiegato ma già chiaramente visibile tra i lampi e le terrificanti esplosioni (veicolo di esperienze sonore di inaudita potenza). L’esperienza della guerra insegna la moltiplicazione e la frammentazione delle immagini visive e sonore del mondo ed incorpora la maggioranza delle trasformazioni nel tempo e nello spazio del periodo ad essa antecedente, segnando una tappa decisiva della transizione del mondo occidentale verso la società di massa (tant’è che la seconda guerra mondiale ne apparirà piuttosto come un prolungamento). Con il sanguinoso “rito di passaggio” della Grande Guerra (non a caso “Le Sacre du printemps” deflagra a Parigi giusto un anno prima dell’inizio del conflitto) si dispiegò un nuovo paesaggio mentale. Fu allora che lo specchio della civiltà occidentale andò in frantumi. Fu allora che un “colpo di tuono” – come scrive lo storico Antonio Gibelli “squarciò il velo del progresso e aprì le porte della modernità, disvelandone la micidiale ambivalenza”. E rimane più che mai attuale l’interrogarsi del soldato Robert Musil: “già oggi suona di nuovo incredibile come sia stato possibile a uomini normali, in serie, milioni per tutta Europa, vivere per quattro anni dove la vita era logicamente un assurdo senza smarrire la ragione, senza perdere d’umanità, conservando intatta la capacità di allegrarsi, di gustare piccole gioie animali, di coltivare legami d’affetto; sostituendo valori nuovi ai valori sconsacrati, trovando nella propria coscienza giustificazioni all’assurdo e all’orrore”. Il grande edificio della civiltà ottocentesca – secondo Eric J. Hobsbawm – crollò tra le fiamme della guerra mondiale e i suoi pilastri rovinarono al suolo: senza la guerra non si può comprendere il “Secolo breve” (1914-1991), un secolo segnato dalle vicende belliche, nel quale la vita e il pensiero sono stati scanditi dalle guerre mondiali, anche quando i cannoni tacevano e le bombe non esplodevano. E così la prima guerra mondiale, definita “grande” a partire dal 1915, non soltanto resiste al tempo e continua ad essere solidamente presente in seno alle società occidentali contemporanee, ad un secolo dal suo sinistro avvio. Strana presenza. L’avvicendarsi stesso delle generazioni sembra giocare un ruolo contrario a quello che ci si potrebbe attendere, tanto che la maggioranza dei giovani oggi sembra considerare quel tragico evento come uno degli avvenimenti più importanti del XX secolo, e più le generazioni sono giovani più la sua importanza viene sottolineata. In tutto il mondo occidentale il legame con i “fatti del 1914-18” non si è spezzato ed al contrario sembra di assistere al suo rafforzamento e così oggi, nonostante i molti anni che ci separano dal massacro, la Grande Guerra è ancora assai lontana dal cadere nell’oblio o dal suscitare indifferenza.
Il tema sarà anche il soggetto di tre incontri il primo dei quali sarà un vero e proprio prologo al Ravenna Festival. Il 29 maggio Massimo Bernardini dialogherà con due protagonisti della vita culturale italiana Lucio Villari e Paolo Rumiz – un grande storico e un ‘curioso’ viaggiatore-scrittore – racconteranno l’anno che ha cambiato il mondo. Il 16 giugno sale in cattedra una delle più conosciute studiose della Grande Guerra, Annette Becker membro del prestigioso Istitut Universitaire de France che terrà una lectio magistralis intitolata “La guerre comme camouflage, le camouflage comme la guerre”.  Il giorno seguente, nell’ambito della Via Sancti Romualdi, Alberto Melloni, autorevolissimo storico della Chiesa, ricostruirà il tortoso percorso della chiesa cattolica dalla Grande Guerra ai giorni nostri.

Il Concerto di Redipuglia
Il tema “Grande Guerra” verrà declinato in alcune delle sue molteplici sfaccettature con un percorso che dopo diverse tappe si concluderà nel grande e solenne concerto commemorativo ospitato nel Sacrario di Redipuglia che si inscrive nelle Commemorazioni nazionali della Prima Guerra Mondiale. È lì che, dopo il consueto appuntamento al Pala de André riservato al pubblico ravennate, giungeranno quest’anno le Vie dell’Amicizia: Requiem per le vittime di tutte le guerre. Riccardo Muti, sul podio dell’Orchestra Cherubini assieme all’European Spirit of Youth Orchestra ed al Coro del Friuli Venezia Giulia, (solisti il soprano Tatiana Serjan, il mezzosoprano Daniela Barcellona, il tenore Saimir Pirgu ed il basso Riccardo Zanellato), compagini a cui si affiancheranno molti altri strumentisti e coristi provenienti dai principali paesi che presero parte alla guerra, dirigerà la Messa da Requiem di Giuseppe Verdi. C’è da ritenere che nessun altro “testo” musicale possa essere più adatto nel rendere in modo lancinante il dramma, realistico e crudele, della morte. Come scrisse Massimo Mila “nella Messa da Requiem, e particolarmente nel Dies irae, è tutto il genere umano che si comporta come i personaggi verdiani, e stramazza fulminato, come selvaggina abbattuta di colpo dall’improvvisa palla di fucile, passando di punto in bianco dal calore di una vita intensissima al gelo della morte”. E la visione verdiana si sovrappone insospettabilmente a quella di Guido Ceronetti, che nel suo Viaggio in Italia così descrive l’immane sacrario: “La scalinata di Redipuglia è una visione da mescalina. Milleduecento gradini che paiono molti di più, un milione, o seicentomila come il computo dei morti, e tutti parlanti, e tutti che gridano una sola parola che risuona come il tuono lontano di una preparazione di artiglieria: Presente. Si è cercato di placarli col culto, il marmo, una liturgia speciale, perché di quei morti, sicuramente, era temuta l’ira”. E così Verdi, come presago dell’imminente ecatombe, dà voce, e potentissima, a quell’ira di milioni di giovani vite spezzate.

Millenovecentoquattordici
Passiamo ora agli altri appuntamenti sul e attorno al tema “1914”. Moni Ovadia e Lucilla Galeazzi con Doppio Fronte. Oratorio per la grande guerra, frutto di una commissione di Ravenna Festival e Mittelfest, proporranno una lettura inedita e composita della guerra vista “dal basso” da uomini e donne provenienti dai ceti più popolari e da ogni parte d’Italia (proprio con il tremendo conflitto si attuerà davvero, tra retrovie, trincee e campi di battaglia, l’unità del paese), con le loro canzoni, le lettere e i diari dal fronte ecc. al di fuori di qualsiasi vuota retorica “patriottica”; poi l’attrice-regista Elena Bucci, con il compositore e fisarmonicista Simone Zanchini, nel suo Colloqui con la cattiva dea, un’intensa narrazione di “piccole storie di una grande guerra”; e la cantante tedesca Ute Lemper assieme all’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini diretta da Tonino Battista, che con Canzoni dal Secolo Breve: 1914-1991 (in omaggio a Eric J. Hobsbawm, appassionato nonché studioso, tra l’altro, della storia del jazz) ci farà compiere un affascinante viaggio musicale dalla Grande Guerra fino alla caduta del Muro di Berlino. Ancora, un concerto del Duo pianistico Arciuli-Rebaudengo (con i percussionisti Andrea Dulbecco e Luca Gusella), concepito ad hoc per il festival, proporrà composizioni di Debussy e Casella strettamente legate al tema della Grande Guerra, oltre a Bartók (il cui cupo ed inquietante Concerto per due pianoforti e percussioni è già presago della Seconda Guerra Mondiale) e, inevitabilmente, Stravinskij. Anche la musica corale del ’900 esprime l’eco di quella ferita universale in alcune grandi pagine che il coro La Stagione Armonica diretto da Sergio Balestracci riproporrà a partire da un brano a cappella di Arnold Schönberg Friede auf Erden (Pace sulla terra) il cui testo di Conrad Ferdinand Meyer esprime un accorato anelito  dalla pace quasi in risposta ai venti di guerra che avrebbero attraversato l’Europa. Il Requiem di Ildebrando Pizzetti, e La leggenda del soldato morto di Kurt Weill su testo di Bertolt Brecht ci condurranno poi fino a Un albero verde, composizione scritta ad hoc dello stesso Balestracci su testo dell’irredentista triestino Scipio Slataper tratto da Il mio Carso.
Nella stessa area tematica si inserisce “Le trincee del cuore”, un progetto di Ambrogio Sparagna che ripropone i canti popolari, non solo italiani, della Prima guerra mondiale. Canti che narrano l’atrocità della guerra, la fierezza del corpo di appartenenza ma anche amori lontani, speranze, ricerca di affetti e piccoli momenti di gioia quotidiana a cui daranno voce l’Orchestra Popolare del’Auditorium Parco della Musica di Roma con il Coro Amarcanto e la Compagnia dell’Alba di Ortona. La voce calda e profonda di Peppe Servillo – ospite d’eccezione – assieme alle sue doti di istrione ed affabulatore, daranno un’impronta unica ad una serie di canzoni dialettali spesso ironiche e goliardiche cantate per esorcizzare la paura della morte.
A questa serie di spettacoli e concerti tematici, tutte produzioni originali di Ravenna Festival, si aggiunge un ulteriore appuntamento divenuto tradizionale nella declinazione dei nostri temi in chiave di riscoperta peregrinante dei luoghi della città a piedi e, quest’anno, in bici (che, detto en passant, fu anche umile quanto affidabile protagonista – assieme al mulo – della Grande Guerra con i leggendari Bersaglieri ciclisti). Il porto di Ravenna che nella Grande Guerra ospitava la base degli idrovolanti di cui rimane ancora traccia e che il 24 maggio 1915, all’indomani della dichiarazione di guerra all’Austria-Ungheria, subì il primo attacco degli austriaci (un cacciatorpediniere bombardò Porto Corsini dando così alla nostra città il mesto primato di avere avuto uno dei primi caduti italiani della Grande Guerra, Natale Zen) sarà il palcoscenico finale di Fronte dei Porti, il bike trekking che attraverserà la storia dei porti di Ravenna incrociando quei capolavori “minimal” che sono gli “Early Works” di Trisha Brown (proposti open air dalla sua compagnia di danza).
Ma il 1914 è anche l’anno in cui fu pubblicata a Marradi una delle opere più singolari della nostra letteratura, I Canti Orfici, ed è questo centenario che ha spinto il festival ad incamminarsi con Trail Romagna sulle tracce lasciate da Dino Campana, secondo alcuni l’unico poeta maledetto che l’Italia abbia mai avuto. Si tratterà di unire in un’unica straordinaria esperienza le due passioni del poeta di Marradi: il cammino e la poesia. Sarà il poeta stesso a dare testimonianza di sé, raccontando la sua vita a chi avrà voglia di seguirlo nei suoi vagabondaggi. Ad interpretare il monologo itinerante (Castagno d’Andrea – Rifugio Burraia), scritto da Iacopo Gardelli ed Elia Tazzari, sarà l’attore Gianfranco Tondini mentre le ‘incursioni’ musicali saranno affidate all’Orphic Duo, composto da Fabio Mina, flauti, e Marco Zanotti alle percussioni.

I concerti sinfonici
Particolarmente corposa la sezione del festival dedicata alla musica sinfonica che vede come protagonisti alcuni tra i maggiori direttori del nostro tempo, i cui nomi sono già famigliari al pubblico del festival, come Yuri Temirkanov, sul podio dell’Orchestra Sinfonica di San Pietroburgo e con il violinista – anch’egli russo, così come russi sono gli autori eseguiti: da Cˇajkovskij a Stravinskij – Vadim Repin come solista; l’americano Kent Nagano assieme ai giovani dell’Orchestra Cherubini e al pianista viennese Till Fellner, in un programma magnificamente brahmsiano che sarebbe sicuramente piaciuto alla scrittrice Françoise Sagan; Valerij Gergiev con la blasonata Orchestra Filarmonica Ceca, solista la giovane pianista coreana Yeol Eum Son, anche in questo caso con un programma integralmente inscritto nella grande tradizione russa (da Musorgskij a Rachmaninov). Riccardo Muti dirigerà l’Orchestra Cherubini sia – come già detto prima – nella verdiana Messa da Requiem, che in un concerto che vede come solista il pianista francese David Fray in programma il concerto per pianoforte e orchestra n. 3 di Beethoven e la Sinfonia n. 5 di Cˇajkovskij. A questo concerto Riccardo Muti intende conferire un significato molto particolare invitando ad unirsi alla Cherubini l’Orchestra Giovanile Italiana in un omaggio Claudio Abbado (molto legato all’Orchestra e alla Scuola di Fiesole) recentemente venuto a mancare e da Muti definito come “un compagno di viaggio in quel meraviglioso e sconfinato paese che è la Musica”.

Musica e guerra a Palazzo Rasponi dalle Teste
Il tema “bellico” sarà poi ulteriormente sviluppato in un percorso tematico – Musica e guerra – il cui arco temporale di riferimento va dal Rinascimento sino ai giorni nostri e che è articolato in tre giornate che avranno come protagonisti, tra gli altri, l’Ensemble Ottoni Romantici (Viaggio musicale dal Risorgimento alla Resistenza), La Venexiana, diretta da Claudio Cavina nell’ineludibile Combattimento di Tancredi e Clorinda di Monteverdi, l’Ensemble La Pifarescha (Musiche rinascimentali d’amore e battaglia), il Cafebaum Banda Barocca con il puparo Giacomo Cuticchio (Cavalleresche gesta fra Händel e teatro dei pupi). Dai pupi ai burattini il passo è breve ed ecco allora Sganapino in trincea, eroe suo malgrado, di Sergio Diotti e Stefano Giunchi (con musiche d’epoca su organo meccanico).
Tutti questi appuntamenti – che con i due concerti già descritti di ’900 ferito completano il ciclo Musica e Guerra – saranno ospitati in un luogo straordinario, che verrà tra poco restituito in tutto il suo aristocratico ed austero splendore – grazie alla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna – alla città, dopo un sistematico ed esemplare restauro che l’ha sottratto all’oblìo in cui versava. Stiamo parlando del Palazzo Rasponi dalle Teste, la cui costruzione terminò all’inizio del ’700 ed il cui architetto rimane a tutt’oggi sconosciuto. Sorprendente sarà per molti la rivelazione, fin dalla magnifica e scenografica scalinata, dei sontuosi interni in stile barocco e rococò, che paiono sconfessare l’austera facciata di tono classicheggiante. Si riperpetua così quella virtuosa consuetudine per cui il festival ogni anno “scopre” e propone alla città un nuovo luogo di spettacolo, che a sua volta “fa spettacolo”, divenendo esso stesso protagonista a pieno titolo del cartellone.
Il palazzo diviene anche “teatro” di un progetto site specific del Gruppo Nanou, i cui fondatori/animatori Marco Valerio Amico e Rhuena Bracci, individuano il 1914 (questo il titolo) non tanto come annus horribilis ma come fulcro di un cambiamento tanto mentale quanto proprio del modo in cui si percepisce e si raffigura il mondo, e che vede l’inizio degli studi di Freud, l’avvento del grammofono, il cinema di Georges Méliès, Gustav Klimt, Egon Schiele, Arthur Schnitzler, la nascita dell’espressionismo, l’intuizione del surrealismo, le foto di Brassai, l’arte di Hans Bellmer. 1914, che fa parte del progetto “Strettamente Confidenziale” – condurrà gli spettatori all’interno di un labirinto fatto di oggetti, suoni e frammenti coreografici, in grado di “spazializzare” e generare un universo, un immaginario, un paesaggio. Il salone delle feste di Palazzo Rasponi dalle Teste ospiterà anche un singolare appuntamento col violoncello barocco; Mauro Valli, che Giovanni Sollima definisce “violoncellista barocco straordinario, anzi uno dei più grandi di oggi” ci restiturà, dopo la prima esecuzione integrale in tempi moderni presentata a Ravenna Festival 2011 di Angelo Berardi, un’altro importante quanto misconosciuto compositore della nostra regione, il bolognese Domenico Gabrielli detto “Minghein dal viulunzel”, maestro di Cappella a San Petronio e autore del primo esempio di composizione per violoncello solo. Ai suoi “Ricercare” è assai probabile che si sia ispirato lo stesso Bach nel comporre le sue celeberrime Suite. Un confronto ravvicinato fra i due autori e le loro composizioni per violoncello solo sarà condotto da Mauro Valli col suo strumento e da Franco Costantini con la lettura di un immaginario ma non inverosimile carteggio fra San Petronio e Lipsia, concepito dal musicologo Piero Mioli.

A cena con l’OperaUpClose
Non manca il teatro musicale con l’originalissima rilettura e riduzione dei blockbuster della lirica – in questo caso Bohème e Elisir d’amore – attuata dalla agguerrita e giovanissima crew di OperaUpClose, innovativa ed audace intrapresa produttiva fondata e diretta dalla regista londinese Robin Norton-Hale che si è già “fatta le ossa” proponendo l’opera lirica in uno dei sopravvissuti Theatre Pub londinesi (il King’s Head Theatre del popolare quartiere di Islington), divenendo da subito un fenomeno cult, che ha attratto l’attenzione di critica e media e ha ottenuto in pochissimi anni prestigiosi riconoscimenti tra cui l’ambitissimo “Olivier Award” (proprio per Bohème). OperaUpClose (traducibile come “L’opera da vicino”) è riuscita nella difficile impresa di avvicinare migliaia di giovani (e non solo) al melodramma rivisitato in modo così accattivante, a volte irriverente ma sempre smart. Questa sarà la prima occasione per il pubblico italiano di venire a contatto diretto con lo stile inimitabile che contraddistingue gli allestimenti “minimal” di OperaUpClose trasferiti dalle atmosfere metropolitane dei pub inglesi a quelle nostrane delle osterie. Sono infatti i tavoli dell’Osteria del Mariani (già importante teatro nell’800 e poi primo cinema di Ravenna) il luogo che ci è sembrato il più adatto per proporre le creazioni di OperaUpClose nella formula “A cena con l’Opera”.

La Danza
Ad ampio spettro anche la programmazione di danza, che inizierà con quella che è considerata unanimemente la più eccelsa ballerina russa, ovvero Svetlana Zakharova, che si presenterà – oltre a tre étoiles del Bolshoi – con il consorte, il violinista Vadim Repin, nel duplice ruolo di solista e direttore dell’Orchestra Cherubini. Un grande evento dunque, che sancisce l’alto livello a cui ambisce il cartellone del venticinquennale (del quale costituisce l’inaugurazione), così come di pari importanza è la prima europea di Chéri, produzione newyorkese di teatro-danza, con regia-coreografia di Martha Clarke, ispirato all’omonimo romanzo di Colette (tra l’altro ambientato nella Parigi degli anni della Grande Guerra), che ha come straordinaria protagonista Alessandra Ferri, assieme all’étoile dell’American Ballet, Herman Cornejo ed a Amy Irving, attrice prediletta da grandi registi come Brian De Palma (esordì proprio in Carrie. Lo sguardo di Satana) e Steve Soderbergh e di cui ricordiamo l’indimenticabile apparizione in Yentl, a fianco di Barbra Streisand. Il terzo appuntamento, sempre sul palcoscenico del Palazzo Mauro De André, avrà come protagonista il Ballet du Grand Théâtre de Geneve con due importanti coreografie (entrambe in prima italiana): Lux coreografia di Ken Ossola e Glory, coreografia di Andonis Foniadakis. Sarà poi la volta di una delle più importanti ed influenti delle coreografe statunitensi, Trisha Brown, pioniera della Postmodern Dance, con la sua Dance Company. Il festival ospiterà poi per la prima volta il coreografo emergente francese Olivier Dubois con la sua ultima intensa, lancinante creazione: Souls, che ha come protagonisti sei danzatori di altrettanti paesi africani. La danza contemporanea italiana sarà inoltre oggetto di uno spazio particolare con due nuove tappe del Progetto RIC.CI – Reconstruction Italian Contemporary Choreography – curato da Marinella Guatterini: la ripresa di Terramara di Michele Abbondanza e di Pupilla di Valeria Magli, mentre il coreografo russo-fiammingo Micha van Hoecke, ripercorrerà il suo originale percorso artistico ed i suoi 25 anni di stretto legame con la città e il suo festival coinvolgendo i giovani allievi di tutte le scuole di danza di Ravenna in una nuovissima creazione di carattere gioiosamente “corale” intitolata Le Maître et la Ville.

Il Teatro
Per quanto riguarda la presenza del teatro nella programmazione del festival – oltre alle produzioni più strettamente collegate al tema prima menzionate, segnaliamo A te come te su testi di Giovanni Testori, lancinante “Lettura scenica” di Ermanna Montanari, da un’idea di Gabriele Allevi e Luca Doninelli con la regia di Marco Martinelli e la prima della versione teatrale del recentissimo best seller di Michele Serra Gli sdraiati, intitolata Father and Son, con Claudio Bisio, per la regia di Giorgio Gallione.
Con A te come te Ermanna Montanari (Premio “Eleonora Duse” 2013) porta in scena per la prima volta il Testori giornalista con una scelta di suoi memorabili interventi sull’attualità. Testori, com’è noto, non ha mai fatto distinzioni tra la propria produzione drammaturgica, quella critica, quella poetica o narrativa e la pubblicistica. Si tratta di storie drammatiche, vicende spesso disperate che l’occhio pietoso e insieme lucidissimo dello scrittore illumina, cogliendo, in fondo alla tragedia, i segni di una Speranza che nemmeno l’ingiustizia più atroce riesce a spegnere del tutto. Michele Serra invece, nel suo ultimo libro di scottante attualità, si inoltra nel mondo misterioso e problematico degli adolescenti di oggi, non risparmiando nulla sia ai figli che ai padri e raccontando l’estraneità, i conflitti, le occasioni perdute, il montare del senso di colpa, il formicolare di un’ostilità che nessuna saggezza riesce a placare.
Giunge inoltre al suo terzo anno il progetto N.A.T., Network for African Talents, attivato e coordinato da Ravenna Festival assieme a Kulungwana (Maputo – Mozambico), all’Associazione Takku Ligey (Senegal) e al Fatej Festival organizzato dal Théatre du Chocolat di Yaoundé (Camerun) con il sostegno dell’Unione Europea e dal quale scaturiscono due produzioni teatrali con una forte componente musicale. Si tratta di Opera Lamb, diretto da Mandiye N’Diaye, fondatore e animatore di Takku Ligey, che prende spunto dalla lotta senegalese (denominata “lamb” o “laamb” appunto), sport nazionale per eccellenza divenuto negli ultimi anni un fenomeno sociale di ampie dimensioni con pesanti riflessi sull’economia del paese, e di Night Commuters. Bambini che non dormono mai, concepito da Guido Barbieri e Oscar Pizzo ed incentrato su una tanto incredibile quanto drammatica vicenda che, nel corso dell’ultima delle guerre civili che hanno funestato l’Uganda, ha visto come protagonisti bambini e adolescenti di alcuni villaggi del distretto rurale di Gulu i quali, per sfuggire ai continui rapimenti notturni da parte del sanguinario esercito di Joseph Kony, erano costretti ad errare per tutta la notte senza poter così mai dormire.

Liturgie e musica sacra
Il percorso delle quattro liturgie, appuntamento domenicale oramai tradizionale del festival nelle splendide basiliche ravennati, prende anch’esso il la dal tema della Grande Guerra. Le analisi e le ideologie nel loro procedere per categorie e affermazioni di principio non possono raggiungere – e forse nemmeno si curano di arrivare – al dramma dell’uomo concreto, fatto di carne ed ossa. Chi può abbracciarne il mistero, chi può addentrarsi nel paradosso più contraddittorio degli umani conflitti per farsi ugualmente compagno di quanti, pur su versanti opposti e con divise di diverso colore, condividono in fondo “lo stesso identico umore”. La musica e il canto sono la più diretta espressione di questo umano “umore” che ha intriso di sé le rarefatte armonie dei cori alpini evocative ad un tempo dello scenario più suggestivo della magnificenza del creato e di quello lancinante di cruenti ed estenuanti battaglie; dalle trincee, dalle linee di confine naturali tracciate dall’arco alpino, proviene l’eco di voci proiettate a celebrare l’imponenza di una presenza che lo stagliarsi delle vette fa sentire vicina e incrollabile finanche nella devastazione del massacro bellico. Le prime due liturgie che proponiamo hanno come protagonisti due gruppi vocali provenienti dai confini estremi delle Alpi; da una parte Gli Armonici Cantori Solandri, formazione trentina composta dalle voci soliste del coro Santa Lucia di Magras che da oltre vent’anni si dedica alla ricerca del ricco patrimonio di canti sacri e tradizionali delle valli del Trentino Alto Adige, dall’altra il Corou de Berra, costituitosi a Nizza nel 1986 con l’intento di riproporre, rivisitandoli, i canti tradizionali sacri e profani dell’area delle Alpi Mediterranee fra Provenza, Piemonte, Liguria e regione nizzarda – protagonista anche del concerto nel Chiostro della Biblioteca Classense che abbiamo intitolato “La Guerra di Piero” dalla citata canzone di Fabrizio De André che sarà riproposta con altri canti di guerra e d’amore della stessa area geografica di cui anche il grande cantautore genovese è figlio.
Un salto indietro di qualche secolo ci proietterà nell’Europa del XVI e XVII secolo, quell’Europa teatro di innumerevoli conflitti armati ma accomunata da un comune sentire, attraversata e devastata dagli eserciti delle nazioni in lotta fra loro e nello stesso tempo percorsa e ricreata dagli artisti – musici, poeti, pittori, architetti – che da una corte all’altra diffondevano la bellezza come tratto distintivo più forte dell’identità europea. Al di qua e al di là delle Alpi, oltre i confini nazionali, nelle cattedrali di tutt’Europa risuonavano le armonie dei grandi polifonisti che con la propria impronta personale alimentavano lo svilupparsi di un linguaggio comune fortemente condiviso. La messa che il gruppo iberico La Grande Chapelle dedicherà ad alcuni grandi compositori del rinascimento spagnolo quali Cristóbal de Morales, Francisco Guerrero e Tomás Luis de Victoria, assai noti ben oltre i confini della penisola iberica, ci riporterà nel clima musicale di una celebrazione liturgica nella Siviglia del XVI secolo che, grazie all’ensemble La Venexiana, potremo mettere a confronto con quello di una messa a San Marco di pochi decenni successiva, quando Giovanni Rovetta, cantore del coro della Basilica Marciana, succederà a Claudio Monteverdi come maestro di quella celebre cappella. Sempre a San Vitale i cantori de La Grande Chapelle proporranno un concerto di musiche sacre che hanno per fulcro il mottetto Jubilate Deo omnis Terra che Cristóbal de Morales, modello per i polifonisti italiani e fiamminghi del XVI secolo, scrisse per celebrare la Pace di Nizza del 1538 su commissione di Papa Paolo III.

La Festa: tra bestie incantate, sposalizi e tarantolati
Altro ritorno al Ravenna Festival è quello di Vinicio Capossela. Al visionario cantautore e scrittore di origine irpina è dedicato un vero e proprio focus articolato in due momenti. Il primo, Il carnevale degli animali e altre bestie d’amore, è un raffinato progetto nel quale la famosa composizione di Camille Saint-Saëns e le canzoni di Capossela vengono cucite insieme per formare un racconto che conduce il pubblico tra storie di animali celebri, simbolismi, bestiari. Bestie cantate per farci un giro da “bestie incantate”, come venivano chiamate le bestie che si esibivano con i saltimbanchi. Il secondo, La Banda della Posta, ha come protagonisti, oltre ovviamente allo stesso Capossela, un gruppo di anziani suonatori di Calitri, in un repertorio di musiche popolari “ballabili” per i matrimoni.
Carte blanche
 anche a Giovanni Sollima, più volte ospite di Ravenna Festival, che sarà protagonista di due appuntamenti, apparentemente tra di loro agli antipodi: il primo – Tenebrae. Il Principe dei Musici – dedicato a Gesualdo ed al suo vertiginoso ed audace cromatismo, mentre nel secondo – la trascinante Notte della Taranta – il musicista palermitano, suonando e dirigendo un’orchestra di oltre trenta elementi proporrà la sua personalissima interpretazione della tradizionale pizzica salentina. Sia La Notte della Taranta che La Banda della Posta con Capossela animeranno due notti nella suggestiva cornice del secentesco Palazzo San Giacomo a Russi che fu la prima residenza estiva dei conti Rasponi. Ed è degno di nota come quest’anno due dei principali luoghi del festival siano entrambi legati alle vicende della grande famiglia le cui vicende sono per oltre quattro secoli così strettamente legate alla città di Ravenna. Va anche ricordato, in un contesto come quello del festival, che sempre i Rasponi furono tra i maggiori promotori della nascita di varie istituzioni culturali cittadine, quali le Accademie Filarmonica, Filodrammatica, delle Belle Arti e il nuovo Teatro Alighieri.
Ma altre musiche festose animeranno uno degli spazi aperti storici del Festival. Alla Rocca Brancaleone si avvicenderanno la voce inconfondibile e magnetica della talentuosa Anna Calvi e Claudio Coccoluto che prima interagirà con i sintetizzatori e le percussioni di Matteo Scaioli e l’originale visual di David Loom in FoleyMandala, poi accompagnerà il pubblico fino alla notte con l’energia ritmica e coinvolgente dei suoi famosi dj set.

Musica e cinema. Da Charlot a Buñel.
Riprende quest’anno la rassegna di concerti/visioni tra musica e cinema con due appuntamenti alla Rocca Brancaleone. Concerto per film e orchestra è l’originale progetto di Sacri Cuori (band “cult” di “razza” romagnola ma di vocazione planetaria ed a cui si deve tra l’altro la colonna sonora del film selezionato e premiato alla Settimana della Critica del Festival di Venezia Zoran il mio nipote scemo, del regista Matteo Oleotto) che assieme a Evan Lurie rende omaggio ad uno dei più grandi registi del XX secolo, Luis Buñuel, il più famoso esponente del cinema surrealista, sodale di Salvador Dalí, ed autore di film emblematici ed iconoclasti come La via lattea o Il fascino discreto della borghesia. Insieme al fratello John Lurie, Evan è tra i fondatori della leggendaria band, protagonista della No wave newyorkese, The Lounge Lizards, divenendo poi apprezzato compositore per il cinema indipendente (ha composto, tra le altre, le colonne sonore de Il piccolo diavolo e Johnny Stecchino di Roberto Benigni).
Nel 1914 non scoppia solo la Prima Guerra Mondiale ma è anche l’anno in cui nasce il personaggio che, forse più di chiunque altro ha saputo raccontare il “Secolo breve”: Charlot, l’indimenticabile vagabondo concepito da Charlie Chaplin a cui il festival dedica un appuntamento speciale, in collaborazione con la Cineteca di Bologna (nell’ambito del Progetto Chaplin con il quale la Cineteca di Bologna, per volontà degli eredi, svolge da diversi anni il delicato compito di ricostruire l’intera opera di Chaplin, che comprende il complesso restauro della sua opera cinematografica). Verrà proiettato il suo primo “corto” – Making a Living (“Charlot si distingue”, del 1914), oltre a Shoulder Arms (con Charlot soldato nella Grande Guerra – 1918) e The Immigrant (1917), tutti con l’esecuzione “live” di un commento musicale composto e diretto da quello specialista di fama mondiale che è Timothy Brock, sul podio dell’Orchestra del Comunale di Bologna.

Trilogia d’Autunno: Balletto e Orchestra del Teatro Mariinskij
Dopo i grandi successi di pubblico e di critica delle edizioni 2012 e 13 (con i due grandi trittici verdiani che hanno dato un contributo sostanzioso e determinante alle celebrazioni del Bicentenario della nascita del compositore di Busseto) si riproporrà – nel mese di ottobre – l’innovativa formula della Trilogia d’Autunno che, ampliando l’arco di programmazione del festival nel corso dell’anno, ne consente una fruizione più agevole e attenta anche alle ragioni della promozione turistico-culturale della città (ricordiamo le oltre milleduecento presenze straniere in città nei giorni della Trilogia Verdi-Shakespeare). Protagonista indiscusso è quest’anno il Balletto del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo, probabilmente – assieme a quello del Bolshoi e pochissimi altri – la più celebrata compagine di danza classica nel mondo, la cui indiscussa eccellenza non è mai stata messa in discussione negli oltre 150 anni della sua storia. Non ha precedenti anche per lo stesso Marinskij il succedersi così serrato, giorno dopo giorno, di capolavori come Il lago dei cigni (su musica di Pëtr Il’icˇ Cˇajkovskij e coreografia di Marius Petipa e Lev Ivanov) Giselle (musica di Adolphe Charles-Adam e coreografie sempre di Petipa, Jean Coralli e Jules Perrot) ma anche di titoli come Chopiniana (Les Sylphides), su musiche di – ovviamente – Chopin e coreografie di Michail Fokin, Apollo, su musiche di Stravinskij (l’Apollon Musagète) e coreografie di George Balanchine e Rubies (da Jewels), con coreografie sempre di Balanchine e musiche di Stravinskij, che compongono il “Trittico ’900”, un omaggio a quei grandi coreografi che hanno reso leggendario il grande teatro della meravigliosa città fondata da Pietro il Grande sulla foce della Neva.