Ex tenebris ad lucem
7 giugno – 13 luglio 2010

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L’edizione 2010 di Ravenna Festival ha voluto assumere come proprio percorso tematico il buio e la notte, secondo varie declinazioni e accenti che rimandano in ogni caso all’attuale Zeitgeist, allo spirito del tempo meno incline di un tempo all’Aufklarung (illuminazione), alle magnifiche sorti e progressive, ma più propenso ai sempre leopardiani lamenti notturni di pastori erranti (e quelli dell’erranza e del naufragio, sempre assunti come metafore, sono altri sottotemi, voci sullo sfondo ma essenziali e rivelatrici).

Tenebre non solo come mancanza di luce, ma anche come cecità, nel loro significato metaforico, poiché le tenebre stanno dalla parte della notte e della morte, della cecità fisica, ma anche intellettuale, morale. Il buio è la totale opacità, opposta alla trasparenza della luce, il buio è infernale, divina e paradisiaca la luce; ma proprio dal buio, spesso, nell’arte occidentale, proliferano immagini fantastiche; il buio è associato al sonno (e Francisco Goya – pensiamo anche alle sue inquietanti ‘pitture nere’ – ci ‘mostra’ che il sonno della ragione genera mostri), che a sua volta è associato al sogno e all’incubo. Il buio indica lontananza e separazione da Dio, ma è attraverso il buio e nel buio che fioriscono le visioni dei grandi mistici come Giovanni della Croce o Santa Teresa de Avila. Ricordiamo anche come nelle cosmogonie occidentali la separazione tra luce e tenebre è atto fondante dell’universo stesso. Con questo atto Dio dà inizio in Genesi al tempo, nella sua alternanza ciclica di giorno e notte, dicendo “che sia luce”, atto con cui prende forma tutto ciò che viene creato; ma la stessa luce scaturisce dalla notte, dal buio, dalle tenebre che sono là prima della luce.

Per dare una forma e una consistenza visiva e sonora a quanto parrebbe così ineffabile, vago e oscuro (in questa dialettica – più che vera opposizione – tra buio e luce), è stata commissionata al compositore Adriano Guarnieri (dopo il fortunato precedente di Pietra di diaspro, rappresentato nell’edizione 2007) l’opera musicale che programmaticamente si intitola Tenebræ e che parte dai Responsoria gesualdiani per la costruzione di un nuovo visionario affresco sonoro scandito sui testi tratti da alcune opere del filosofo Massimo Cacciari (del quale va ricordata l’epocale collaborazione con Luigi Nono, che culminò nel Prometeo). La natura potentemente visionaria di Tenebræ – che si configura come una sorta di inedito oratorio digitale spazializzato, ed è coprodotto con il Teatro dell’Opera di Roma – si proietta sia sul fronte sonoro quanto mai avviluppante, con l’apporto strutturale del Live Electronics e della spazializzazione digitale del suono che su quello della costruzione di uno spazio visivo polimorfo e in continua trasformazione, grazie all’utilizzo delle più aggiornate tecniche di sintesi ed elaborazione digitale dell’immagine e del suono (ad opera di Ezio Antonelli e Luigi Ceccarelli). L’opera, ideata da Cristina Mazzavillani Muti che ne cura la regia, prevede tre voci soliste e un ensemble strumentale formato da musicisti dell’Orchestra Giovanile Cherubini, con la direzione di Pietro Borgonovo.

Assieme a questo ‘cuore di tenebra’ che è l’opera di Guarnieri si irradia poi una galassia di episodi intesi come veri e proprio riti notturni d’ascolto e visione, di natura meditativa ed estatica, tra buio e luce, suono e silenzio.

Iniziamo con il progetto elaborato appositamente per Ravenna Festival da Tempo Reale, il Centro di produzione ricerca e didattica musicale fiorentino fondato da Luciano Berio nel 1987 e ancor oggi punto di riferimento per la ricerca, la produzione e la formazione nel campo delle nuove tecnologie musicali. Si tratta di tre “Notturni elettronici”, tutti ospitati alle Artificerie Almagià. Il primo dei Notturni è dedicato alla musica elettronica del grande Karlheinz Stockhausen, con particolare riferimento alle sue affascinanti invenzioni sonore di ispirazione ‘cosmica’, il secondo al compositore Mauricio Kagel (scomparso l’anno scorso) e l’ultimo a “The Table of Earth”, nuovissima e originale produzione in cui l’estrema versatilità dello straordinario vocalist e performer statunitense David Moss viene messa in relazione con la ricerca di Tempo Reale nei settori dell’interattività, delle tecniche di microfonazione e di elaborazione e spazializzazione del suono.

Questi notturni elettronici sono poi intercalati ad altri appuntamenti nel corso dei quali, immersi nell’oscurità delle nostre antiche basiliche, la dimensione di straniamento spazio-temporale si coniuga con la profonda spiritualità che antichi riti e liturgie oggi dimenticate riescono a irradiare. E sono gli echi di suoni e voci lontane a scandagliare lo spazio delle sapienti architetture bizantine che si riverbera nella profondità del nostro animo in ascolto. Dalle musiche medievali fino ai nostri contemporanei Pärt, Sciarrino e Rihm, passando per Gesualdo da Venosa, Couperin, Alessandro Scarlatti e Pergolesi, un grande itinerario nella musica sacra, soprattutto vocale, assieme a laReverdie, Cantar Lontano (diretto da Marco Mencoboni), Melodi Cantores Ensemble e Harmonicus Concentus (diretti da Elena Sartori), La Stagione Armonica (diretta da Sergio Balestracci) e Odhecaton (diretto da Paolo Da Col).

Sacri canti e parole delle tre grandi religioni del Libro risuoneranno, così come è avvenuto lo scorso anno nella suggestiva cornice dei giardini di San Vitale, con “Voci nella preghiera” (ideazione e regia di Cristina Mazzavillani Muti), mentre la voce di Alessandro Preziosi ci condurrà “nel più segreto fondo” dell’anima di Agostino d’Ippona, il grande santo e teologo berbero, africano di nascita, leggendo brani dalle Confessioni, accompagnato da laReverdie.

Notte e oscurità sono una componente essenziale di ogni racconto del mistero, e Weird Tales è il titolo che è stato dato a una sezione oramai tradizionale del festival come quella di Musica&Visioni, che trova ancora la sua collocazione tra le antiche mura veneziane della Rocca Brancaleone. Quest’anno la rassegna viene realizzata in stretta collaborazione con Bronson Produzioni, innovativa e dinamica realtà nata a Ravenna pochi anni or sono ma che si è distinta a livello nazionale per la qualità e l’originalità delle sue proposte musicali. Assieme all’omaggio al più grande tra gli evocatori del mistero in letteratura, Edgar Allan Poe, con la proiezione de La caduta della casa degli Usher, un film del 1928 con la regia di Jean Epstein (ma con il giovane Luis Buñuel come aiuto regista) musicata live dal gruppo rock Massimo Volume, Weird Tales prevede i concerti altamente ‘immaginifici’ di Fennesz (già partner e collaboratore di Ryuichi Sakamoto e David Sylvian) assieme al video-artista tedesco Lillevan, gli inglesi Broadcast, visionari celebranti di estatiche liturgie neo-psichedeliche con il Focus Group di Julian House, e infine Murcof (il messicano Fernando Corona, a Ravenna con il visual di Anti VJ) che utilizza i silenzi come parte fondamentale della sua musica, per creare, dilatare e comprimere il flusso sonoro dei suoi brani, modellandoli come veri e propri strumenti.

“Caminantes, no hay caminos. Hay que caminar” (“Viandanti non ci sono strade, si deve solo camminare”, da un’antica iscrizione in un convento di Toledo).

La dimensione mistica del pellegrino rivive oggi, sia pur parzialmente, in una ritrovata dimensione estetica del camminare, e così (in attesa dei “Canti di viandanti” del Cloud Gate Dance Theatre Of Taiwan) il Ravenna Festival assieme a Trail Romagna invita tutti i trekkers (o aspiranti tali) a mettersi in cammino verso il tramonto tra le nostre pinete e le nostre archeologie con passo spedito ma con orecchie e mente finalmente libere di mettersi in mobile ascolto attraverso campi e radure lungo una serie di piccole tappe scandite da altrettanti incontri musicali. Una piccola via di canti molto romagnola, nella convinzione che “Errare humanum est”.

Tra molte novità e curiosità Ravenna Festival mantiene un assai solido programma di concerti sinfonici che hanno come protagonisti Claudio Abbado, a cui spetta il compito di inaugurare il Festival con la sua Orchestra Mozart, poi lo svizzero Charles Dutoit e il russo Yuri Temirkanov, rispettivamente sui podi delle due più prestigiose orchestre inglesi: la Royal Philharmonic e la Philharmonia Orchestra.

Rilevante l’impegno di Riccardo Muti assieme all’Orchestra Giovanile Cherubini (che ha nella città di Ravenna una delle sue residenze insieme a quella di Salisburgo, Valencia e Piacenza), incentrato soprattutto nel proseguo del grande progetto giunto al quarto anno sulla Scuola musicale napoletana. Punto di partenza è il libretto metastasiano della Betulia Liberata, ispirato al Libro di Giuditta dell’Antico Testamento, utilizzato nel 1743 da Niccolò Jommelli per il suo oratorio omonimo per 4 voci, coro e strumenti scritto su commissione dei Padri della Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri. La Betulia Liberata, che è il secondo oratorio scritto da Jommelli dopo l’Isacco figura del Redentore, ebbe vasta circolazione in Italia per tutto il Settecento e sue esecuzioni sono documentate anche a Praga e a Londra. All’esecuzione dell’oratorio parteciperà anche il Vienna Philharmonia Choir, diretto da Walter Zeh. La ‘fortuna’ del testo di Metastasio è attestata – oltre che dalle realizzazioni musicali di Reutter, Bernasconi, Holzbauer, Gassman e Anfossi – soprattutto dall’“Azione sacra” composta nel 1771 da Wolfgang Amadeus Mozart all’età di quindici anni durante un suo soggiorno a Padova.

La produzione dell’opera – con la regia di Marco Gandini, le scene di Italo Grassi e i costumi di Gabriella Pescucci – vede impegnati, oltre al Ravenna Festival, anche il Festival di Pentecoste di Salisburgo e il Palau de les Arts di Valencia.

Sempre Riccardo Muti dirigerà il concerto conclusivo del festival, dedicato a Luigi Cherubini, di cui ricorrono i 250 anni dalla nascita.

Se è vero che secondo Goya “il sonno della ragione genera mostri” si è voluto dedicare – sempre nell’ambito del tema delle tenebre – anche la sezione più propriamente teatrale del festival al tema del buio e della notte partendo da una commissione alla drammaturga Maddalena Mazzocut-Mis per un nuovo lavoro intitolato “Cardo rosso” (“Io desidero la morte più di quanto tu desideri la vita”), una tragedia liberamente ispirata ai fatti avvenuti nel teatro na Dubrovka (che significa bosco di querce) nell’ottobre del 2002 allorché un gruppo armato di uomini e vedove della Cecenia sequestrò spettatori, attori e musicisti durante la rappresentazione del musical Nord-Ost (Nord Est). La drammatica vicenda si concluse tragicamente con una strage in cui perirono sequestratori e ostaggi. La trasposizione teatrale, pur mantenendo l’ambientazione e la forza tragicamente espressiva, non vuole realizzare un’opera di ricostruzione documentaristica. Si tratta in ogni caso sempre di finzione e di teatro, dove l’elemento drammatico rimanda – senza mai sfociare nel patetico – agli accadimenti del Dubrovka solo in modo traslato, per diventare tragedia corale, tragedia d’emarginazione e cecità. Se questo nuovo lavoro si ispira al noto racconto di Lev Tolstoj “Chadzi-Murat” (che raccontava anch’esso la lotta tra ceceni e russi, e a proposito del quale il grande poeta Evgenij Evtuschenko ebbe a dire “Se il presidente Eltsin avesse letto Chadzi Murat, è assai improbabile che si sarebbe imbarcato in un conflitto coi Ceceni”), ricordando così il centenario della scomparsa del grande romanziere russo, il grande regista Peter Stein interpreta I demoni di Fëdor Dostoevskij – testo fondamentale della letteratura, ma anche della vita civile, che agita fantasmi e utopie, paure e “rimedi” di quella grande transizione vorticosa della Russia di centocinquant’anni fa, ma che anche ci parla, in maniera violenta quanto poetica, della nostra transizione, infinita quanto illusoria di oggi.

Al drammaturgo austriaco Werner Schwab è dedicato il progetto concepito da Maurizio Lupinelli (“Lupo”) e realizzato dalle compagnie Nerval Teatro e Juha Masalo. Schwab, morto a 35 anni per overdose di alcol il giorno di capodanno del 1994, ha lasciato opere intrise di ironia feroce, irriverenza e impietosa schiettezza. Definito maledetto e iconoclasta, pur raccontando il disfacimento dei corpi e la desolazione dell’esistenza (attraverso un linguaggio amaro e truce), Schwab immette nella sua opera un lirismo non privo di una tormentata tensione verso la spiritualità, tensione che ha caratterizzato la sua breve e travagliata vita.

Il tema – a cui prima si accennava – dell’erranza e del naufragio – è affrontato invece dal regista Marco Martinelli, con il suo Teatro delle Albe, che dopo la straordinaria esperienza di Arrevuoto a Scampia, si cimenta in un nuovo impegnativo progetto, denominato Rumore d’acque, la cui genesi sta coinvolgendo adolescenti della comunità tunisina di Mazara del Vallo in una avvincente narrazione che parte dai racconti dei marinai, dei pescatori, in gran parte immigrati. Il progetto è curato, oltre che dallo stesso Martinelli, da Ermanna Montanari e Alessandro Renda (ravennate ma ‘mazarese’ di origine).

Sempre in questa vasta area tematica si situa “Songs of Wanderers” (Canti di viandanti) che è il titolo dello spettacolo creato dal più importante coreografo asiatico – Lin Hwai-min – che il Cloud Gate Dance Theatre di Taiwan porterà a Ravenna. Un’opera sull’ascetismo, la mitezza del fiume e la ricerca della quiete, appoggiata su un palcoscenico stratificato e modellato da tonnellate di riso.

Rimanendo nell’ambito della programmazione di danza ricordiamo il ritorno del danzatore e coreografo statunitense Bill T. Jones con Serenade/The Proposition, che segna l’inizio della trilogia dedicata a Abraham Lincoln. Pur senza far diretto riferimento al personaggio storico e letterario di Lincoln, in questa creazione si intrecciano coreografie, testi d’epoca, video, musica tradizionale e originale per esplorare le forti questioni morali, sociali e politiche che Lincoln aveva sollevato durante la sua presidenza riguardo al futuro degli ancora vulnerabili Stati Uniti.

Il programma dell’Hamburg Ballet, diretto da John Neumeier, uno dei maggiori coreografi del nostro tempo, è dedicato a Vaslav Nijinsky – uno dei più straordinari artisti del ’900, la cui fama è comparabile soltanto a quella di Rudolf Nurejev, ma che fu soprattutto nella veste di coreografo che indicò una nuova direzione: una visione della danza che puntava dritto verso la concezione moderna della coreografia – e ai Ballets Russes di Diaghilev, con la ricostruzione filologica de le Sacre du Printemps di Igor Stravinskij (rappresentato per la prima volta a Parigi il 29 maggio al Theatre des Champs-Elysées) con le coreografie di Millicent Hodson ispirate a quelle originali di Nijinsky e i costumi ricostruiti con grande perizia da Kenneth Archer.

Da segnalare anche il Gala del grande danzatore cubano Carlos Acosta, che porterà con sé sul palcoscenico del Pala de André grandi étoiles dell’English National Ballet e del Ballet National de Cuba, e l’esibizione di uno tra i gruppi di punta nella scena internazionale della danza contemporanea, ovvero il Dansgroep Amsterdam, dinamicissima ed energetica espressione delle visioni coreografiche di Krisztina de Châtel e Itzik Galili.

Non poteva mancare una nuova creazione di Micha Van Hoecke per il suo Ensemble, ispirata questa volta al tema ‘notturno’ del festival e concepita per il capolavoro giovanile espressionista di Arnold Schönberg Verklärte Nacht (Notte trasfigurata) e Der Tod und das Mädchen (La morte e la fanciulla) di Franz Schubert, con l’esecuzione dal vivo da parte dell’Orchestra Cherubini diretta da Hansjörg Schellenberger.

Dopo gli straordinari successi di Cats e Mamma Mia, West Side Story e One Touch of Venus il Ravenna Festival ha il piacere di proporre – sempre in edizione originale, con la regia di Bill Kenwright – un altro indiscusso e universalmente acclamato capolavoro nella storia del musical: Evita, su libretto di Tim Rice e musiche di Andrew Lloyd Webber.

Evita ripercorre la sensazionale e irresistibile ascesa di Maria Eva Duarte de Perón – la carismatica first-lady argentina la cui vicenda umana commosse la fantasia popolare di tutto il mondo nell’immediato dopoguerra – dalle umilissime origini alla salita al potere al fianco del marito Juan Domingo Perón, sino alla prematura morte (a soli 33 anni), mostrando da un lato l’amore, spinto sin quasi alla venerazione, da parte del suo popolo, e dall’altro, l’atteggiamento ironicamente disincantato di un narratore di eccezione: Ernesto Guevara de la Serna, universalmente conosciuto come Che Guevara. Due miti contrapposti – quelli di Evita Perón e del Che assurti al rango di vere e proprie icone moderne.

Con Evita Ravenna Festival intende anche celebrare il Bicentenario dell’Argentina, e questo assieme alla serata dedicata al Tango – “un pensiero triste che si balla” secondo la bella definizione coniata da Enrique Santos Discépolo – e all’esecuzione, a opera di Tempo Reale, di Acustica, uno dei capolavori della musica della seconda metà del secolo scorso, composto dal compositore argentino Mauricio Kagel, scomparso due anni or sono.

Palazzo San Giacomo a Russi farà da suggestiva cornice per due serate molto speciali, entrambe incentrate sulla musica popolare e il ballo. La prima, intitolata “S’l’è nöt u s’farà dè”, sarà animata dagli indiavolati ritmi balcanici della Kocani Orkestar una delle più apprezzate e spettacolari fanfare balcaniche, un’orchestra magica, fatta di musicisti straordinari, artisti vagabondi, generosi ed eccessivi, ensemble aperto, sempre in continua mutazione e che a Russi porta il progetto “Tra sponde” dove attraversando l’Adriatico incontrerà l’italianissima Banda Municipale Balcanica, Pino Minafra e Roberto Ottaviano. È la volta poi di Juan Jose Mosalini e della sua Grande Orchestra di Tango. Conosciuto in Europa come l’ambasciatore più rappresentativo del tango, tra i rari bandonéonisti capaci di farlo rivivere in tutte le sue espressioni, dalle origini alla contemporaneità, Juan José Mosalini fin dal 1992 si è dedicato alla creazione della Grande Orchestra di Tango, composta da 11 musicisti, secondo la formazione delle ‘orchestre tipiche’ degli anni ’40 e ’50.

L’antica darsena di Cervia ospita due serate che interpretano con un diverso accento il tema del festival. Black is beautiful oltre che al colore nero rimanda anche alla “Great Black Music” la grande musica del popolo nero che in molteplici forme (jazz, blues, soul, afro, hip-hop ecc.) continua ad essere una delle colonne sonore irrinunciabili della nostra vita. La prima serata è dedicata alla nuova scena musicale africana e ha come protagonista l’ammaliante voce della ‘maliana’ Rokia Traoré. La maggior parte delle sue canzoni, Rokia Traorè le canta nella sua lingua nativa, il bamana o bambara, ma i temi dei suoi testi sono di un’attualità anche coraggiosa, come quando parla dello status della donna nell’Africa di oggi. L’ultimo album di Rokia Traore si chiama Tchamatche, che costituisce un’altra poetica e armoniosa espressione della tradizione musicale africana da cui questa cantautrice proviene, e che ancora una volta incontra altri ritmi come il rock, il jazz e il blues.

Con “A Funky Celebration” si vuol invece rendere omaggio alla grande tradizione della musica ‘funky’ il cui nume tutelare è James Brown, scomparso pochi anni or sono. Maceo Parker e Fred Wesley sono stati due tra i più importanti musicisti che hanno militato nella mitica band di James Brown e saranno presenti a Cervia entrambi con le loro rispettive formazioni.

Saranno cinque gli appuntamenti domenicali nelle splendide basiliche ravennati con le liturgie del ciclo “In Templo Domini”. Se il titolo Ex tenebris ad lucem è di per sé carico di riferimenti facilmente rintracciabili nella liturgia e riconducibili fondamentalmente alla luce come simbolo di Cristo e alle tenebre intese come il Male ma anche come il mondo senza Cristo, il percorso da noi tracciato vuole uscire da questa facile semplificazione ed evitare il rischio di ridurre ad astratti concetti contrapposti i termini drammatici di un conflitto che cerchiamo invece di cogliere nel vivo delle vicende storiche, dell’esperienza reale, dell’attualità presente. “La notte della Chiesa” propone a San Vitale la preziosa ricostruzione di una Messa rintracciata da laReverdie in un codice della Cattedrale di Apt: le tenebre calate su una Chiesa divisa al punto da avere due Papi, non impedirono che la luce della fede continuasse ad esprimere tanta bellezza. Nel secondo appuntamento Sergio Balestracci con la sua Stagione Armonica presenta un programma di grandi polifonisti espressione di quella nuova creatività che si sviluppò dopo il Concilio di Trento; dopo i secoli bui che avevano portato alla divisione con la Chiesa Riformata, l’alba, appunto, di una nuova luce. Palestrina è certamente il più noto e autorevole interprete della Controriforma: nella basilica di Sant’Agata Maggiore, Dario Tabbia con i sette cantori di Vox Libera, eseguirà la messa per il Natale “O Magnum Mysterium”. La luce è venuta nel mondo e viene attraverso Maria. A lei è dedicata la quarta liturgia a San Vitale dove i quattro cantori solisti di Cantica Symphonica eseguiranno la messa “Ecce Ancilla Domini” di Guillaume Dufay. A conclusione di questo percorso la grande celebrazione in Duomo della Missa pro Defunctis di Orlando di Lasso interpretata dalla Schola Gregoriana e dal Coro Polifonico Paer in memoria delle vittime del terremoto dell’Aquila e di Haiti. La luce risplende anche nelle più oscure tenebre della morte.

Il ritorno di Keith Jarrett con il leggendario Standard Trio, assieme ai suoi compagni di strada Gary Peacock e Jack De Johnette, delizierà il pubblico ravennate (che ancora ricorda la straordinaria esibizione del 1996) nell’ultima giornata del Festival.