New York: 11 settembre
19 aprile, 13 giugno – 22 luglio 2002

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L’edizione 2002 di Ravenna Festival (giunto al suo tredicesimo anno di vita) intende fornire momenti di riflessione sui recenti, tragici accadimenti che hanno sconvolto il mondo intero. È proprio la natura tematica della manifestazione ravennate, da sempre attenta ai sommovimenti profondi, alle mutazioni epocali che hanno contrassegnato il passaggio da un millennio all’altro, ad imporre coerentemente momenti di confronto, meditazione, approfondimento attraverso l’espressione artistica: vero e proprio sismogramma del profondo disagio dell’uomo, del suo interrogarsi e del suo senso di smarrimento di fronte all’emergere di forze negative apparentemente sottratte all’esercizio della ragione e della razionalità. Così, il tema del Festival – tanto laconico quanto terribilmente evocativo, New York: undici settembre – nelle parole di Cristina Mazzavillani Muti, “volge lo sguardo a quelle novelle, simbolicamente bibliche, ‘Torri di Babele’ che tutto hanno sepolto e dalle quali solo con la conoscenza e l’amore potremo risorgere insieme, migliori di prima”.

“…how many deaths will it take till he knows that too many people have died? The answer, my friend, is blowin’ in the wind” (…e quanti morti serviranno perché sappia che troppa gente ha dovuto morire? La risposta, amico, sta soffiando nel vento). Con queste parole Bob Dylan ha concluso il concerto che il 19 aprile ha aperto la composita e significativa serie di appuntamenti che il Festival dedicherà espressamente all’America ed a quel crogiolo creativo, melting pot di idee, esseri umani, stili e visioni che è sempre stata New York.

La tradizione afroamericana del canto gospel e spiritual sarà rappresentata dalla straordinaria Joan Orleans che renderà omaggio a quella che è stata la maggiore interprete di questo repertorio, Mahalia Jackson (anch’essa originaria di New Orleans, la culla del canto gospel, e di cui si celebra il trentennale dalla scomparsa). Il contributo essenziale degli afroamericani alla cultura americana sarà testimoniato dal notissimo coreografo e danzatore di colore Bill T. Jones, portavoce autentico ed acclamato della danza afro-americana moderna, che si presenterà al Festival con la compagnia di balletto fondata con Arnie Zane. La composita tradizione musicale americana, in cui si innestano jazz, blues, rock e pop, sarà ripercorsa da quello che è probabilmente il gruppo vocale, oggi attivo sui palcoscenici, più conosciuto ed apprezzato internazionalmente, ovvero i Manhattan Transfer, che celebreranno un glorioso sodalizio trentennale con l’omaggio ad un altro grande protagonista della musica afroamericana: l’indimenticabile “Satchmo” – Louis Armstrong, la più grande tromba del jazz. Emblematica anche la composizione che il Ravenna Festival ha voluto commissionare ad uno tra i compositori italiani più conosciuti, apprezzati e amati internazionalmente, Ennio Morricone (particolarmente legato agli Stati Uniti), che renderà sonoramente percepibile, darà voce a quel senso di dolenza e di perdita, dedicando il suo brano per coro, orchestra e nastro magnetico intitolato Voci dal silenzio dedicato alle vittime non solo dell’11 settembre ma più in generale del terrorismo e della violenza degli uomini. La composizione verrà eseguita dall’Orchestra Filarmonica e dall’Associazione del Coro Filarmonico della Scala, e sarà diretta da Riccardo Muti.
Dal tema “americano” scaturisce anche un altro motivo conduttore della programmazione: quello dell’“emigrazione”, dei popoli erranti costretti ad abbandonare la propria terra ricercando altrove la possibilità di sopravvivere. Anche in questo caso è il confronto tra culture diverse ad emergere, il sincretismo culturale e lo sradicamento, che conduce però a forme di ibridazione artistica che della “differenza” fanno il proprio fertile terreno. Emblematica è così la proposta di due “opere” anomale della seconda metà del Novecento, di
due compositori delle due americhe particolarmente sensibili alla musica popolare: lo statunitense Leonard Bernstein e l’argentino Astor Piazzolla.
Com’è noto il luogo ideale del sincretismo stilistico di Bernstein è il teatro musicale che trova in West Side Story (trasposizione in chiave contemporanea della vicenda shakespeariana di Romeo e Giulietta) la sua massima espressione, conferendo al genere musical assoluta dignità d’arte. L’emergere della questione giovanile nelle metropoli americane dei primi anni Cinquanta suggerì a Bernstein ed ai librettisti Arthur Laurents e Stephen Sondheim di sostituire il motivo del conflitto religioso con la rivalità venata di odio razziale tra due bande di quartiere, i sedicenti ‘americani’ dei Jets e gli immigrati portoricani degli Sharks. Con la Maria de Buenos Aires di Piazzolla, si entra invece nei suburbi della capitale argentina, per altre vicende legate pur sempre all’emarginazione ed alla mancata integrazione.
L’operita del grande musicista argentino rende conto della possibilità di conferire al genere “tango” grande respiro e tenuta formale senza per questo perdere la propria intensa capacità
comunicativa. La Maria è l’esito di una co-produzione tra Ravenna Festival ed il Teatro Comunale di Bologna e si avvarrà – oltre alla regia di Gabriele Vacis – della presenza degli artisti argentini più rappresentativi in questo “genere” che sempre più interesse sta suscitando sulle scene internazionali.

Il tema dell’emigrazione viene affrontato con grande originalità anche dallo spettacolo Esportazione senza filtro, Musica al caffè con cui la compagine formata da Daniela Piccari, Simone Zanchini, Thomas Clausen, Andrea Alessi e Giampiero Pizzol propongono un incontro tra culture musicali differenti che si ritrovano nell’area del jazz. “La musica emigra, il musicista è l’emigrante. Compagno di viaggio è il caffè qui messo a tema delle composizioni, emblema di questo incontro senza frontiere.”

La struttura del programma viene completata nei suoi tratti fondamentali, con altri appuntamenti di grande rilievo, quando non di riferimento assoluto, nell’ambito del grande repertorio classico ed operistico. Protagonista di questa edizione sarà ancora una volta Riccardo Muti, che concluderà il trittico “Mozart-Da Ponte”, progetto realizzato in collaborazione con lo
Staatsoper di Vienna, con Le Nozze di Figaro. Particolarmente corposa sarà la sezione “sinfonica” del Festival, che ospiterà alcuni tra i maggiori direttori attivi sulla scena internazionale come Zubin Mehta (con l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino), Mstislav Rostropovicˇ (con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Lituania) Gennadij Rozˇhdesvenskij con l’Orchestra della Tonhalle di Zurigo, Heinz
Holliger con l’Orchestra della Radio di Stoccarda e lo stesso Riccardo Muti con l’Orchestra Filarmonica ed il Coro Filarmonico della Scala. Da segnalare anche l’esordio di Daniele
Pollini, in veste di direttore d’orchestra (con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI). La musica da camera costituirà – come sempre – un momento centrale della programmazione, con la presenza (in esclusiva per l’Italia) di musicisti quali Gidon Kremer (con la sua KremerATA Baltica, sempre in prima linea nella diffusione internazionale di autori contemporanei appartenenti soprattutto alla vivacissima scena musicale dei paesi di area exsovietica) ed il grande pianista – di nazionalità statunitense – Murray Perahia.

La presenza a Ravenna della compagine orchestrale dei Wiener Philharmoniker fornirà l’occasione preziosa ad alcune delle sue “prime parti” (vere e proprie colonne portanti di quella che è unanimemente riconosciuta come una delle migliori orchestre del mondo) per esibirsi assieme nel Wiener Philharmonia Quintett. Il concerto del prestigioso Ensemble Wien-Berlin vedrà inoltre la partecipazione straordinaria, in veste di pianista, di Riccardo Muti. Al coreografo Micha van Hoeche è affidata una delle produzioni più originali e significative del prossimo Festival che vedrà l’alternarsi di un ensemble di musica tradizionale araba, diretto dal grande virtuoso arabo di oud (il liuto arabo, progenitore del liuto rinascimentale) Naseer Shamma, nativo di Bagdad, e dell’Accademia Bizantina diretta da Ottavio Dantone, riconosciuta oramai a livello internazionale come uno degli ensemble di musica barocca più qualificati nel serrato confronto di due grandi tradizioni “classiche”, alla ricerca di radici comuni, storicamente comprovate, che si attuano anche in modalità e prassi esecutive che lasciano ampio spazio all’improvvisazione. Su questo inedito “sfondo” musicale ove i confini tra Oriente ed Occidente transcolorano, l’Ensemble di Micha racconterà con il gesto, la pura espressione del corpo e dei volti (se pure, a volte celati) ciò che altrimenti sarebbe ineffabile, indicibile. Con questa importante produzione il Ravenna Festival, nelle parole del suo presidente, Cristina Mazzavillani Muti, “vuole impegnarsi sul difficile tema del confronto delle civiltà. Culture che sembrano scontrarsi e che invece attraverso l’arte, la musica e la storia del pellegrinare dell’uomo finiscono per essere molto più somiglianti di quanto non si creda e che quindi attraverso una conoscenza affettuosa ed approfondita possono convivere arricchendosi vicendevolmente”.

La musica rinascimentale è rappresentata da quella che è probabilmente la formazione più accreditata in questo ambito: Mala Punica, fondata e diretta da Pedro Memelsdorff, che nella suggestiva cornice di San Vitale proporrà i Mottetti del vallone Johannes Ciconia, singolare figura di compositore caratterizzata da un inquieto spirito sperimentale ante litteram, presago dei futuri sviluppi della musica occidentale. Da segnalare anche la presenza dell’ensemble tedesco dei Musica Fiata, tra i massimi specialisti europei nell’ambito del repertorio barocco, con la ricostruzione musicale, sulla base di una documentazione coeva, della “Festa musicale di San Rocco”, così come aveva avuto luogo a Venezia nell’anno 1608. La danza troverà uno dei suoi momenti di sicuro interesse con due dei protagonisti di maggior caratura sulla scena internazionale: l’argentino Julio Bocca (con il suo “Balletto Argentino”, in un intenso omaggio ad Astor Piazzolla) e l’etoile Alessandra Ferri, nella Carmen su musiche di Rodion Schedrin, con coreografie del cubano Alberto Alonso. Significativa infine la presenza del Corpo di Ballo del Teatro alla Scala, impegnato in un omaggio a Nino Rota.
Lo spazio teatrale vedrà il ritorno di due registi: Marco Martinelli e il suo Teatro delle Albe, con una sua rilettura de il Sogno di una notte di mezza estate, da William Shakespeare, nell’ambito del “Cantiere Orlando: incantamenti e falsi sembianti tra Boiardo e Shakespeare” (in co-produzione con La Biennale di Venezia) e Ruggero Cappuccio che con il suo Teatro Segreto ha composto una lettura-concerto del XXIII Canto dell’Orlando Furioso che vedrà protagonista Chiara Muti.

Un festival di risonanza internazionale e con una vocazione multidisciplinare come Ravenna Festival, non può esimersi dallo sforzo di mettere in atto imprese che vedano l’incontro tra creatori attivi in ambiti artistici diversi, in un serrato dialogo tra codici e poetiche che producono un significato “altro” rispetto alla somma degli elementi messi in atto. Ravenna Festival ha così commissionato al compositore Carlo Crivelli (noto anche per le sue colonne sonore ai film di Marco Bellocchio e dei fratelli Taviani) e all’artista visuale Jannis Kounellis un lavoro ispirato ad uno dei testi più straordinari del poeta e pittore inglese William Blake “Il libro di Urizen”, la cui visionarietà si fa quasi sinistra profezia dei recenti accadimenti.

Tra le altre cose da segnalare nel variegato programma 2002 di Ravenna Festival un omaggio al grande compositore Olivier Messiaen, di cui ricorrono i dieci anni dalla scomparsa. Del grande musicista francese (già “maestro” di tutta una generazione di compositori contemporanei, che va da Boulez a Stockhausen, passando per Xenakis, verrà eseguita la sinfonia Turangalîla, immenso affresco policromo composto immediatamente dopo la fine del secondo conflitto mondiale, in uno spirito di luminosa speranza e ottimismo, nel quale la tradizione indù si coniuga al cristianesimo. La sinfonia sarà proposta dall’Orchestra della Radio di Stoccarda diretta da uno specialista nel repertorio contemporaneo (oltre che eccellente compositore) quale Heinz Holliger. Il “ritratto di compositore” dedicato a Messiaen sarà completato anche da quella che è probabilmente la sua composizione più nota ed eseguita, ovvero il Quatuor pur la fin du temps, composto in un campo di prigionia, durante la Seconda Guerra Mondiale. Il Quatuor verrà proposto dal Trio Johannes, composto, oltre che dal pianista Claudio Voghera, dal violoncellista Massimo Polidori e dal violinista Francesco Manara (entrambi prime parti Teatro alla Scala, a cui si aggiungerà per l’occasione Fabrizio Meloni, (primo clarinetto dell’orchestra scaligera).

La consueta attenzione dedicata al repertorio novecentesco troverà un ulteriore emblematico episodio nell’esecuzione della Settima Sinfonia di Dimitrij Shostakovich “Leningrado”, dedicata al tremendo assedio da parte delle truppe naziste della città russa che seppe resistere eroicamente alla barbarie. Il tema della “guerra” e della risposta che ad essa l’arte può dare è così altro “motivo”, tema conduttore della manifestazione ravennate, in questo momento certamente non “pacificato”. Lunedì 22 luglio Ravenna Festival concluderà l’edizione 2002 con un “ponte di fratellanza per le vie dell’amicizia attraverso l’arte e la cultura” che porterà Riccardo Muti, i Musicians of Europe United e l’Associazione del Coro Filarmonico del Teatro alla Scala a New York per un concerto “in memory of the Twin Towers’ tragedy and of all the victims of violence in the world”.