Cantastorie, gitani e trovatori
18 giugno – 24 luglio 2000

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L’edizione 2000 di Ravenna Festival si apre con una grande festa, una festa della città, per la città, che risuonerà, tra giugno e luglio, di canti, danze, immagini provenienti da lontano, nel tempo e nello spazio. Per più di un lungo mese Ravenna torna ad essere crocevia di popoli, aprendo i suoi spazi straordinari, carichi di memoria e di storia, ad eventi ed appuntamenti che affrontano temi e suggestioni diverse originati però da un disegno comune, che si ramifica in percorsi, preziose occasioni di approfondimento, di riflessione, ma anche di piacere nell’ascolto, nella visione, privilegiando sempre l’ottica multidisciplinare di questa manifestazione, refrattaria alle divisioni per generi e stili.

Ed è proprio la dimensione gioiosa di quella che abbiamo chiamato la ‘’Festa Maggiore”, traendo spunto dalle grandi feste popolari del nostro Sud, che potrà trasmettere lo spirito del Festival: la città verrà pacificamente invasa da bande, fanfare, voci, musicanti … che- varcando le porte ridisegnate dalla luce delle luminarie- trascineranno con se tutti coloro che incontreranno lungo la loro via. Il cuore stesso della città batterà seguendo ritmi e pulsazioni diverse: quello lento e sontuoso delle bande della generosa terra di Puglia, quello concitato ed irresistibile delle fanfare macedonie balcaniche, che giungeranno dal mare, assieme alle calde sonorità caraibiche di un’autentica banda cubana! E tutto questo dal vespro (allorché si udranno i rintocchi di tutte le campane della città) fino a notte alta, quando le ultime luci si spegneranno.

Il “camminare”, accompagnati dalla musica, dalle danze, costituisce un altro significato del multiforme tema del Festival, che quest’anno viene significativamente dedicato ai “popoli del viaggio”, a tutti coloro che si sono messi in cammino lasciando alle loro spalle la loro terra d’origine, o anche a coloro che non hanno mai avuto una propria “terra”, una casa comune, e sono stati costretti dalla crudeltà degli uomini e della storia a pellegrinare per secoli e secoli, attraversando genti e paesi, senza una meta, semplicemente fuggendo da qualcosa, in un perenne esilio, in una diaspora spesso non riconosciuta come tale. Il pensiero va anche ai musicisti erranti che agli albori del millennio percorrevano l’Europa, facendo sentire il proprio canto e la propria poesia nelle corti, nelle strade e nelle piazze, regalando bellezza a chi conduceva una vita durissima, incerta. Gitani, cantastorie e trovatori dunque, protagonisti di un tempo in cui il canto, la narrazione orale costituiva l’unica forma di memoria collettiva, ed alla voce si affidava l’espressione dei sentimenti, dei dolori e delle gioie. Una voce che sgorgava direttamente da dentro, dall’anima e dal cuore, con tutta la sua pregnanza corporea. Qualcosa di caldo, di diretto, che colpisce e rapisce colui che sa ascoltare, e che in questa voce si riconosce, aprendosi ad essa. Vi sarà anche un cantastorie, un “trovatore” dei nostri tempi, una voce che interpreta con sensibilità e coerenza (ma anche giocosa ironia) l’uomo di oggi. È un personaggio amatissimo, apprezzato sia per la sua originalità (spesso amabilmente provocatoria) che per la generosità con cui si dedica a progetti dedicati al mondo giovanile: Renato Zero.

Non mancherà uno sguardo, non fugace, al nostro secolo “breve”, a quella tradizione del nuovo che ha segnato l’irruzione della modernità nelle arti, il suo deflagrare nelle capitali europee, dove nascevano le avanguardie, alla spasmodica ricerca dell’inaudito. Ricordando quelle vicende, quegli anni “eroici”, il festival propone un omaggio ad un grande musicista, Kurt Weill, di cui ricorre il centenario della nascita (nonché il cinquantenario della scomparsa). I Sette peccati capitali sono uno dei suoi capolavori (ed a Ravenna verrano eseguiti dall’Orchestra della Radio di Vienna, diretta da Dennis Russell Davies, con una interprete- dall’indimenticabile timbro vocale aspro, scuro, vissuto- d’eccezione, Marianne Faithfull), e nascono dalla collaborazione con una delle “voci” più elevate- per il suo impegno etico e civile- dell’Europa contemporanea: Bertolt Brecht .. E poi Stravinskij, che sarà presente nel Festival con la Suite dall’Uccello di fuoco e la Sagra della Primavera, riproposta dal duo piarustico Canino-Ballista. Con gli sconvolgenti Quadri della Russia pagana ecco emergere un altro tema che diventa (come nel caso di Gerusalemme) meta del Festival nelle sue “Vie dell’amicizia”: Mosca e la Russia, che a Ravenna sono collegate idealmente e spiritualmente da una comune radice bizantina, che trova nell’icona e nel mosaico il suo luminoso e diafano simbolo. Dalla Russia pagana a quella cristiana- ortodossa poi si passa con il Coro Maschile del Patriarcato Ortodosso di Mosca, che riproporrà i canti delle antiche liturgie (nella splendida cornice di Sant’Apollinare Nuovo), che scandiranno in un tempo sospeso l’incedere delle teorie di Vergini e Martiri. Anche la Russia fiabesca e magica tratteggiata dal grande Puskin nel suo libretto per il Gallo d’oro di Rimskij-Korsakov (maestro di Stravinskij), sarà rappresentata in un allestimento del leggendario Teatro Bolshoi di Mosca, ospite a Ravenna per un’intera settimana, nel corso della quale presenterà al nostro pubblico i suoi eccellenti danzatori, eredi di una grandissima e mai interrotta tradizione, la sua orchestra, i suoi cantanti.

Evento straordinario sarà il concerto diretto dal M° Riccardo Muti, che dirigerà le compagini orchestrali e corali unite del Teatro alla Scala e dello stesso Bolshoi nell’esecuzione della Nona Sinfonia di Ludwig van Beethoven. L’inno An die Freude, alla gioia, su testo di Friedrich Schiller costituirà una sorta di elevatissimo commiato al secolo ed al millennio che lasciamo dietro di noi, ed un saluto colmo di speranza per quello che inauguriamo, in questa “estasi dinanzi al mistero assoluto” che è il capolavoro beethoveniano. Il giorno successivo lo stesso programma verrà riproposto a Mosca, dentro il Cremlino, tra le chiese dove sono custodite le icone del grande Andrej Rublev.

Un altro doveroso, sentito omaggio, è quello a Johann Sebastian Bach, di cui ricorre il250° anniversario dalla morte. n Festival lo interpreta con due “integrali”: quella dei Concerti Brandeburghesi proposti dall’Accademia Bizantina diretta da Ottavio Dantone e quella dei Concerti per violino, interpretati da due tra i massimi virtuosi viventi (entrambi di origine russa): Maxim Vengerov e Shlomo Mintz, assieme alla pm antica tra le formazioni orchestrali europee: la Leipziger Gewandhausorchester, diretta dal kapellmeister Herbert Blomstedt.

Se Bach è- nelle parole di Alhert Schweitzer: “una fine. Nulla procede da lui; tutto conduce a lui” e dunque 44uno scoglio posto di traverso alla corrente del tempo”, Schonherg, partendo proprio dal suo amatissimo Bach (che eserciterà un’influenza profonda anche sull’ultimo Beethoven, proprio quello della Nona Sinfonia e del Quartetto Op. 130, che verrà proposto da un sodalizio storico: il Quartetto Alhan Berg), scriverà- tra l’altro- quel Pierrot Lunaire che sconvolgerà (così come li aveva sconvolti i primi capolavori stravinskiani, del periodo russo) i pubblici di mezz’Europa. Il Festival ne offre un’allestimento che funge già da riferimento assoluto: quello diretto da Peter Stein, tra i massimi registi europei, con la Sprechstimme di Maddalena Crippa. Ma l’irruzione del moderno, con la sua radicalità, il suo spirito provocatorio, non avviene solo in ambito cosiddetto “colto”. Tra le preziose eredità del secolo che si conclude v’è anche quella del musical, dei suoi song indimenticabili, che hanno accompagnato la vita di tante generazioni, facendo loro dimenticare, per un istante almeno, l’orrore delle grandi guerre. Probabilmente Broadway è altrettanto importante di Parigi, Vienna o Berlino nella storia della musica e della danza moderne. Ecco allora l’omaggio a Broadway di una formazione che ha suscitato l’entusiasmo del pubblico americano ed anglosassone: gli Hudson Shad, cinque cantanti d’opera (“pazzi” si autodefiniscono) che disegneranno un avvincente percorso vocale tra gli evergreen dei ruggenti anni ‘20 e ‘30. Si potrà ascoltare- tra l’altro- anche Night and Day, di Cole Porter, composta di getto dopo una visita al Mausoleo di Galla Placidia nel corso del viaggio italiano del grande compositore americano, che non seppe resistere al fascino di quella volta stellata, e lo trasfigurò in una melodia che sfiderà i secoli.

Il tema “gitano” troverà il suo momento più significativo nella produzione del capolavoro di Georges Bizet: la Carmen, che avrà tra i suoi interpreti una grande voce dei nostri tempi: quella di José Cura. Un fedele quanto geniale “compagno di strada” di Ravenna Festival, Micha van Hoecke, ne curerà la regia, in un allestimento che – in modo originale ed innovativo – intende proporsi utilizzando le modalità (e l ‘inesausto movimento) del musical. È un affresco del mondo zingaro visto ed interpretato da una sensibilità romantica, a cui si accosterà l’autentica tradizione gitana, ancora vitalissima ed inesauribile: quella del flamenco di Jerez, del cante jondo (con un omaggio ad un altro grandissimo poeta del ‘900: Federico Garcìa Lorca), quella dei virtuosi violinisti magiari e transilvani (Roby Lakatos e Muzsikas, con Marta Sebestyén, l’indimenticabile voce nella colonna sonora de “ll paziente inglese”), i poeti, i musicanti ed i giocolieri del Rajasthan (da dove iniziò il “lungo viaggio” dei gitani, attorno all’anno mille), il delirante sax di Akosh S., che coniuga il canto lancinante di Albert Ayler agli indiavolati ritmi balcanici, oppure il violino di Kemani Cemal, proveniente dal vecchio quartiere di Sulukule, ad lstanbul, tutto questo e molto altro ancora… per “lunghe notti” dove i suoni e le danze si spegneranno solo a notte fonda.

Tanti e tali sono gli eventi e gli appuntamenti in programma che non è possibile soffermarsi – come certo meriterebbero – su ognuno di essi. Abbiamo fornito spunti, possibili chiavi di lettura, itinerari tra i tanti possibili, che ognuno potrà costruirsi attraverso oltre mille anni di musica, di danza ecc.

Ricordiamo – last but not least – l’omaggio ad un’altra grande figura del ‘900: Giorgio Strehler, presente con uno dei suoi capolavori registici: Il Campiello, e poi una prestigiosa co-produzione di Ravenna Festival proprio con il Piccolo Teatro di Milano ed Teatro alla Scala, quella Nina, o sia la pazza per amore, capolavoro di Giovanni Paisiello, per la regia di Ruggero Cappuccio e la direzione di Riccardo Muti, che già è stata indicata unanimemente come esemplare dal pubblico e dalla critica, per perfetto equilibrio tra messinscena e lettura musicale. Un ritorno graditissimo è quello del violista Juri Bashmet, con i suoi Solisti di Mosca, nell’ambito della “settimana” dedicata al Bolshoi, uno dei grandi interpreti russi contemporanei che saranno presenti all’edizione di Ravenna Festival2000 come il violinista Viktor Tretiakov e il direttore Gennady Rozhdestvensky, uno degli ultimi esponenti della leggendaria dinastia di direttori russi che, invitato da noi, ritornerà a dirigere in Italia a capo dell’Orchestra Nazionale della RAI in un programma che intende essere un originale omaggio all’Italia e al suo paese. Altro “compagno di strada” del Festival è il regista ravennate- ma oramai proiettato sui palscoscenici internazionali – Marco Martinelli, che proporrà una produzione originale coprodotta quest’anno assieme alla Biennale Teatro. La danza, assieme agli appuntamenti con il Bolshoi e con il danzatore flamenco Joaquin Grilo, è presente a livelli assoluti con le etoiles Sylvie Guillem e Laurent Hilaire, che proporranno coreografie di un altro “maestro” del nostro secolo: Maurice Béjart.

Si vorrebbe dire che dall’anno mille, a partire dalla tradizione medievale e trobadorica sino ad oggi, questo programma consente uno sguardo d’assieme, con inevitabili varchi e lacune certamente, a dieci secoli di ininterrotta creatività. Un patrimonio enorme, il senso e la sostanza di una civiltà che non andrà- crediamo, speriamo- mai dispersa. È l’immagine molteplice (come un mosaico… ) di un percorso, di un cammino che non è terminato. La musica, le arti lo hanno accompagnato, interpretato, sollecitato. Celebriamolo assieme, in festa, mettendoci anche noi in cammino, inseguendo gli echi di musiche che vengono da lontano e potranno aiutarci a delineare il nostro mobile orizzonte, con uno sguardo che si mette in ascolto… guardando sia in avanti, a ciò che ci aspetta, sia indietro, a ciò che è stato, e che è ciò che realmente siamo.