I pellegrinaggi della fede, anno II. Donna Mater, voci erranti nel mondo
15 giugno – 26 luglio 1998

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L’edizione ’98 del Ravenna Festival è dedicata anche quest’anno ai “Pellegrinaggi della fede”, ma con nuovi motivi conduttori che attraversano l’ampio programma e che come una filigrana fanno emergere la figura della donna in musica (ed anche del canto, della parola delle donne) e delle “voci del mondo”, intese come testimonianza dei popoli erranti, nomadi e pellegrini nel mondo, spesso oppressi dalla crudeltà della Storia e degli uomini (dalla diaspora degli Ebrei su su fino alle minoranze etniche dei nostri giorni, all’Etiopia, al Tibet, la Mongolia, i Paesi Baschi, ecc.). Tutto questo accanto, come oramai è consuetudine del Festival, alla riproposizione della “grande” tradizione classica e romantica europea (quella di Mozart, Beethoven, Brahms, Schubert, Schumann, Mendelssohn, Berlioz, Bruckner), con la precisa coscienza, però, che anche la musica del nostro secolo oramai concluso (Stravinskij, Bartók, Berg, Prokof’ev, Satie, Ravel, Debussy, Janácek, Webern, Sostakovic, Messiaen) è parte integrante di questa stessa tradizione, intesa quindi non come “museo”, ma come inesausta vitalità della creatività e dell’immaginazione sonora.  Grandi orchestre, grandi direttori, strumentisti, cantanti, coreografi, registi e attori (da Lorin Maazel a Kent Nagano, da Riccardo Muti a Mstislav Rostropovic, da Radu Lupu a Mischa Maisky, da Paolo Poli a Sandro Lombardi e Federico Tiezzi, dall’Hilliard Ensemble a Micha van Hoecke con le étoiles Alessandra Ferri e Maximiliano Guerra, ecc.), assieme alle “voci del mondo”: l’israeliana Esti Kenan Ofri, l’etiope Alemu Aga, la tuvita Sainkho Namchylak, l’americana Diamanda Galas, la tibetana Jungchen Lhamo, il basco Beñat Achiary, i sacri canti della Sicilia reinventati da Giovanni Sollima o quelli plurimillenari dei falasha etiopi ebrei, l’idioma del nostro dialetto, ecc.

E poi – come si diceva – la donna: madonna, mater strangoscias, mater dolorosa, sciamana, suora, azdora, strega e fata… tutto un universo femminile – quello rappresentato nel programma di Ravenna Festival – che ci parla, ci appare attraverso il canto, riallacciandoci alle nostre radici, ai nostri archetipi, alla terra stessa come “Grande madre”, anch’essa vilipesa, oltraggiata. Questo è il senso del progetto “Genius Vocis”, dei nuovi lavori teatrali dei Magazzini (con un intenso omaggio a Giovanni Testori, nel quinto anniversario della sua scomparsa), di Marco Martinelli e di Ivano Marescotti e di “Nove icone per una madre”, il nuovo lavoro di Roberto Solci scritto su commissione di Ravenna Festival in onore della Madonna Greca e di tutte le madri e dedicato a Papa Giovanni Paolo II.

Ma anche i popolarissimi Pagliacci di Leoncavallo – nel nuovo allestimento del Teatro Comunale di Bologna, diretto da Riccardo Muti e con la regia di Liliana Cavani – ci parlano della realtà di altri “nomadi” della vita e dello spettacolo, anch’essi, in fondo, in via di estinzione. Tante le cose da segnalare, in trentasette giorni di programmazione, troppe per esaurirle in questa necessariamente sommaria presentazione, che vuole essere più modestamente un’invito a mettersi in ascolto in questo serratissimo pellegrinare dei suoni e della parola. Scorrendo le dense pagine del programma si troveranno molte novità, molti nomi nuovi e scelte di repertorio originali e stimolanti (il Prokof’ev dell’Amore delle tre melarance, il Laudario di Cortona proposto dall’Ensemble Organum, il barocco di Geminiani dell’Accademia Bizantina, lo Stravinskij ed il Satie di Paolo Poli, lo Stabat Mater di Arvo Pärt ed I Canti di Sollima, ecc.). E poi ancora il cinema, presenza costante nelle ultime edizioni del Festival, con la ‘Piccola antologia cinematografica’ Voci e volti di donna.

Prosegue inoltre con convinzione il rapporto sempre più stretto con la città e quelle sue energie creative che negli anni si sono affermate sui palcoscenici internazionali: Marco Martinelli e le sue Albe (il regista ravennate ha recentemente ottenuto il più prestigioso premio teatrale italiano – il Premio UBU – proprio per una produzione di Ravenna Festival: All’Inferno!), e poi l’Accademia Bizantina, che ancora una volta aprirà le sue fila a giovani strumentisti, in una sorta di rinnovata festa barocca della musica e del piacere di suonare assieme. Da segnalare in questo senso è anche l’incontro in musica (sulle magnifiche note dell’Ottetto di Mendelssohn) delle prime parti di due eccelse orchestre come i Wiener Philarmoniker e la Filarmonica della Scala.

Estremamente significativa sarà anche la presenza a Ravenna dell’Orchestra Filarmonica del Teatro Nazionale di Sarajevo, la città martire bosniaca. Il ponte d’amicizia gettato mesi or sono sull’Adriatico è ancora solidamente al suo posto e simboleggia quegli stretti, indissolubili legami che la musica contribuisce a creare, aiutando a dimenticare gli orrori di una guerra fratricida e, nello stesso tempo, a ricordare i valori della solidarietà e dell’umana pietas. Quest’esperienza di gemellaggio sonoramente spirituale si riproporrà anche quest’anno, con il Progetto Ravenna-Beirut, sottolineata anche dal ritorno a Ravenna della sublime cantante libanese Soeur Marie Keyrouz, con il suo Ensemble de la Paix. L’Orchestra Filarmonica, Riccardo Muti ed il Coro della Scala attraverseranno questa volta insieme il Mediterraneo, ed anche la città di Beirut, che sta risorgendo rapidamente dalle proprie rovine, risuonerà della forza pacificatrice e rasserenante della grande musica che, se pure vive delle e nelle differenze di cultura e credo religioso, può solo unire laddove altri hanno diviso.